sabato 29 ottobre 2011

Il Pappone sul Social Network

La foto del Profilo di Facebook dell'Agenzia 3C
MALAYSIA - L’esplosione di Facebook in Asia (168 milioni di persone possiedono un account) non poteva lasciare indifferente anche la fiorentissima industria del sesso a pagamento del Sudest del continente, area in cui risiedono il 57% degli utenti FB asiatici. Nessuna sorpresa, dunque, per la comparsa sul social network piú famoso del mondo di una pagina che offre giovani prostitute nella capitale malese Kuala Lumpur (più di una perplessità, invece, sui motivi dell’inazione dei censori di Facebook, di solito alquanto solerti). Titolare del nuovo account è una delle tante organizzazioni specializzate già attive su Internet con websites o blog semi-pubblici: la 3C (che starebbe per “Call-Choose-Cash”, cioè: chiama, scegli e paga), che si autodefinisce “L’Agenzia di Escort Numero 1 della Malaysia”. A pochi giorni dall’apertura, e grazie al passaparola e a un paio di articoli comparsi sui giornali di Kuala Lumpur The Star e Sinar Harian, la pagina-pimp di Facebook ha visto subito un piccolo boom di fan registrati (4.262 al momento in cui scriviamo). I dettagli personali di questi “sostenitori” non sono elencati, ma dai nomi e dalle foto di quelli tra loro che hanno osato esporsi per commentare i (non numerosi) post finora pubblicati dall'anonimo “Agente 3C”, si può facilmente giungere alla conclusione che l’idea abbia fatto breccia in un bacino di curiosi e possibili utenti tutti maschi, giovani e in maggioranza malesi (diversi anche i fan di altri Paesi asiatici). La Bacheca della pagina FB pubblica un certo numero di foto di ragazze - chiamate apertamente “prodotti” - di origine cinese, thailandese e indonesiana e il tariffario, diviso per origine etnica della ragazza e orari (1, 3 o 6 ore): si va dai 150 Ringgit malesi (34 euro) per un’ora con una ragazza thailandese, ai 700 Ringgit (160 euro) per 6 ore trascorse con una cinese. Indicata con una colorata infografica, in varie lingue (per possibili turisti sessuali in arrivo a Kuala Lumpur), anche la procedura per la trattativa: “Trovatevi una camera d’albergo; chiamateci, indicando dove vi trovate, il tipo di ragazza preferito e il tempo desiderato; un paio di ragazze si presenteranno in poco tempo. Dopo avere fatto la vostra scelta, pagate e divertitevi”. Un numero di cellulare malese (012959****) compare già nel titolo della pagina e viene poi ripetuto nei post. Se i potenziali utilizzatori del servizio desiderano farsi un’idea più precisa del tipo di “merce” in offerta, la sezione Info della pagina FB fornisce il link al sito web dell’agenzia 3C (un Blog), che pubblica molte foto esplicative. Detto della mancata reazione dei censori di Facebook, non stupisce invece quella delle autorità della Malaysia, Paese multi-etnico ma a maggioranza musulmana, dove la prostituzione è vietata per Legge, ma viene praticata quasi alla luce del sole, soprattutto a Kuala Lumpur. “Siamo al corrente dell’esistenza della pagina di Facebook”, ha dichiarato serafico il Vice-direttore del Federal Criminal Investigation Department (incaricato della repressione di vizio, gioco d’azzardo e società segrete), Abdul Jalil Hassan. “Ma finora nessuno è mai stato arrestato per avere offerto sesso su Internet”.

domenica 23 ottobre 2011

Giochi severamente proibiti

Sex toys di ogni forma, colore e dimensione
VIETNAM - Il Diavolo, si sa, si nasconde ovunque, e la camera da letto è uno dei suoi campi di battaglia preferiti, naturalmente anche in Asia. Per arrivarci, il Maligno può però prendere le strade più diverse e inaspettate, e celarsi perfino nelle valigie, nei pacchi postali e nelle borsette delle signore. Ne sanno qualcosa i poveri funzionari delle Dogane vietnamite, che da qualche anno si trovano a dover fronteggiare gli immaginifici e aggressivi tentativi di Belzebù di varcare le sacre frontiere della Patria utilizzando le sue ben note doti trasformistiche. Il Diavolo – informano alcuni preoccupati lanci dell’agenzia ufficiale Thanh Nien – sta tentando di entrare nel Paese comunista sotto mentite spoglie: un giorno si presenta travestito da vibratore elettrico, un altro da bambola gonfiabile e il giorno dopo da protesi di gomma. Tutti cosiddetti “giocattoli sessuali”, ormai abbastanza conosciuti e tollerati in Occidente, ma considerati dalle Autorità di Hanoi alla stregua di diabolici strumenti, diretti a diffondere tra le fila compatte dei cittadini comunisti uno “stile di vita debosciato” e decisamente contro-rivoluzionario. Secondo alcuni allarmati rapporti dei funzionari doganali, sarebbero infatti in forte aumento i casi di importazione di aggeggi “di piacere”, maschile e femminile, ritrovati sempre più spesso nei bagagli di turiste e turisti stranieri o di vietnamiti rientrati dall’estero, ma anche in pacchi postali in arrivo da oltrefrontiera, frutto di acquisti online o più semplicemente inviati ai residenti da amici che vivono all’estero. La produzione e l’importazione commerciale dei cosiddetti “sex toys” sono bandite già da tempo nel Paese del Sudest Asiatico. Ma il Diavolo ne sa sempre una più di un qualsiasi scaltro censore, e non smette mai di provarci. Gli ordini del Partito e del Governo, per quanto ideologicamente motivati, in Vietnam come in ogni altro Paese necessitano pur sempre di istruzioni e regolamenti di attuazione che, nel caso dei “sex toys, le Autorità di Hanoi avevano - fino a poche settimane orsono - fatalmente dimenticato di approvare (lasciando nella confusione i funzionari preposti alla salvaguardia delle frontiere). Come comportarsi, si chiedevano imbarazzati i pubblici ufficiali, quando sugli schermi dei raggi X dell’aeroporto di Hanoi o di Ho Chi Minh Ville compariva l’inconfondibile silhouette di un “dildo”; oppure, se da un controllo nel bauletto di una coppia di giovani turisti, magari in luna di miele, scappavano fuori manette coperte di pelouche rosa o misteriosi attrezzi borchiati di pelle nera, di indubitabile natura sado-maso? In attesa di delucidazioni dall’alto, i censori in divisa finora avevano cercato appigli nei regolamenti disponibili, che però menzionano esplicitamente solo l’ordine di sequestro per i “giocattoli pericolosi per la salute dei bambini” (difficile far rientrare i “sex toys” in questa categoria) o i “medicamenti nocivi” (non applicabile al caso in questione). Complicato anche invocare la proibizione del 2009 contro le “attività culturali” dirette a “minare lo Spirito nazionale”, perché troppo vaga e finora utilizzata solo per reprimere il dissenso politico e non anche quello di tipo sessuale. Per cercare di risolvere la questione, nei giorni scorsi la Direzione delle Dogane ha finalmente pubblicato il prontuario dell’oggettistica demoniaca (le agenzie, purtroppo, non riportano copia della lista ufficiale, che immaginiamo essere stata redatta dai massimi esperti del Governo) e ha chiarito che l’importazione dei “sex toys” è vietata in Vietnam “anche per uso personale”. D’ora in poi, i giochi erotici ricevuti per posta dovranno essere subito “ri-esportati” a cura dei destinatari dei pacchi, pena la distruzione da parte delle Autorità. E i doganieri avranno l'autorità di sequestrare ogni giocattolo sessuale scoperto nei bagagli dei viaggiatori. Ai quali, peraltro, lo Stato si impegna a restituire il materiale peccaminoso al momento dell’uscita dal Paese. Ai poveri funzionari delle Dogane il compito di rilasciare ricevuta, catalogare gli oggetti e conservarli, in condizioni di sicurezza, in luoghi appositamente attrezzati.

giovedì 8 settembre 2011

La Rivoluzione del condom cinese

Abito da sposa - Condom Fashion Show 
CINA - C’è un settore manifatturiero cinese che tira alla grande, fattura ogni anno milioni di dollari e contribuisce a rendere felici - letteralmente - milioni di clienti in patria ma soprattutto in Occidente, anche in questi ultimi turbolenti mesi di crisi. Parliamo dell’industria dei preservativi, tra le più vivaci del nuovo boom delle esportazioni del gigante comunista. Nonostante i problemi finanziari di Europa e America, il settore continua a espandersi, forse perché in tempi di crisi ci si rifugia nell’amore, o perché le coppie pensano due volte prima di procreare o, ancora, perché quando i soldi sono pochi ci si ricorda che il sesso è uno dei pochi divertimenti e momenti di socializzazione relativamente a buon mercato rimasti agli esseri umani. Considerati fino a non molto tempo fa di cattiva qualità e decisamente inclini a rompersi nei momenti meno opportuni, i condom cinesi hanno sfondato resistenze e barriere dopo l’ingresso del Paese nel WTO, guadagnandosi una nuova fama con strategie di marketing che li hanno fatti conoscere e apprezzare in tutti i continenti. Non vogliamo parlare qui del piccolo scandalo mediatico “mondiale” di qualche giorno fa, provocato dalle immagini di un reporter della compassata TV di Stato CCTV ripreso con in mano un microfono visibilmente protetto da un preservativo (si trattava di un servizio sull’ultima tempesta tropicale e il povero professionista aveva paura di bagnare l’apparato tecnico...). Ci riferiamo piuttosto alla fantasia e alla totale mancanza di inibizioni mostrata dagli strateghi dei brand cinesi nell’affrontare  non solo i concorrenti, ma anche e soprattutto nemici potenti come l’Ignoranza, il Pregiudizio e, in molti Paesi, la Religione. La società che guida questa agguerrita pattuglia di produttori cinesi e che meglio sta combattendo la guerra globale per l’affermazione del preservativo è la Guilin Latex Factory, orgogliosa proprietaria dei popolarissimi marchi “Gobon” e “Kungfu”, diffusi in 35 Paesi del mondo. Creata 40 anni fa dal Ministero Statale per l’Ingegneria Chimica, ma oggi divenuta una società autonoma di cosiddetto secondo livello del settore medico, la compagnia è diretta da un attivissimo CEO, il signor Tao Ran, e ha il suo quartier generale appunto a Guilin, forse la più romantica e pittoresca città cinese, sulle rive del fiume “Fiore di pesco”. I moderni stabilimenti della “Guilin”, che occupano un’area di 130 mila metri quadrati, danno lavoro a oltre mille dipendenti e producono ogni anno 700 milioni di condom, utlizzando 3 mila tonnellate di latex, con un turnover annuo di 20 milioni di dollari. La lista delle patenti nazionali e internazionali della Guilin (certificati ISO, CE europeo, GMP americano) e dei suoi committenti (Commissione Cinese di Stato per la Pianificazione Familiare, Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, ONG mediche) testimonia da alcuni anni la qualità del “prodotto”. Ma la notorietà su scala mondiale e il vero balzo in avanti nelle vendite, sono venuti più recentemente da alcuni grandi eventi sportivi, tra cui le Olimpiadi di Pechino del 2008 (80 mila condom distribuiti gratuitamente in poche ore al villaggio delgi atleti) e la Coppa del Mondo di calcio in Sud Africa nel 2010 (prodotto ufficiale, centinaia di migliaia di pezzi distribuiti ai tifosi dal Ministero della Sanità). Brillanti le tecniche adottate dalla Guilin per conquistarsi nuove commesse e spazi di mercato. Dall’adesione incondizionata ai principi fondativi delle Nazioni Unite per la lotta all’AIDS, con tanto di lettera ufficiale di Tao Ran, pubblicata online, nella quale la società si impegna anche a battersi “per i diritti umani e per i diritti dei lavoratori”; all'invenzione del “Condom Fashion Show” in occasione della 18esima edizione del “World Population Day” a Pechino. Dalle sponsorizzazioni ai blitz degli attivisti anti-AIDS (con enormi tende a forma di preservativo calate su palazzi e grattacieli); alla diversificazione dei prodotti (colori, forme, taglie e gusti), con l’invito ai clienti a “disegnare la vostra linea personale di condom.” Fino a una disinvolta strategia di PR su internet, con un moderno sito web (anche in inglese) con informazioni tecniche sull’uso dei preservativi, spiegazioni sui rapporti sessuali, anche omosessuali, e una breve Storia del Condom. Il tutto senza dimenticare le proprie origini e il dovuto omaggio all’unico, vero “Amministratore Delegato” di qualsiasi impresa cinese, come chiarisce la “Mission” della società, distribuita ai committenti, nella quale si ricorda a tutti, lavoratori e clienti, che i successi della Guilin sono dovuti alla "leadership del Partito e dei membri dell’Esecutivo, armati di un forte spirito esplorativo e delle idee politiche più avanzate.”

domenica 4 settembre 2011

Tette, rugby & motorette

Il logo della parata
NUOVA ZELANDA - I limiti della “decenza” sono al centro di una furiosa battaglia politico-legale in Nuova Zelanda, isola anglosassone e solitamente tranquilla del Pacifico, alla vigilia dell’attesissima Coppa del Mondo di Rugby. Archiviata a furor di popolo l’infelice proposta di uno sponsor degli All Blacks di invitare i supporter della squadra nazionale ad astenersi dal sesso come “fioretto” per conquistare l’agognato trofeo, la parola “S” è tornata prepotentemente a far discutere e a dividere la pubblica opinione. Sotto accusa, questa volta una provocatoria parata annunciata per il giorno di una partita clou del torneo, quella tra la squadra neozelandese e la fortissima Francia. A organizzare il corteo, la CVC Group Ltd. società del cosiddetto “Re del Porno” Steve Crow che gestisce con il marchio NZX una serie di attività nel fiorente mercato della pornografia legale (un sito web, un settimanale, un mensile, un’agenzia di escort e “presto anche un’agenzia per cuori solitari”) e uno dei principali sponsor di Erotica Lifestyle Expo, la maggiore fiera annuale dell’erotismo della Nuova Zelanda. Il nome della parata (un evento che si tiene dal 2003 in tutte le principali città) è “Boobs on Bikes” - letteralmente, “Tette sulle motociclette”: decine di procaci ragazze in topless che attraversano il centro cittadino trasportate da rombanti moto di grossa cilindrata, con distribuzione di materiale “informativo” e commerciale. L’evento, nato 8 anni fa per protesta contro l’arresto di due ragazze in topless, ha assunto sempre più chiari obiettivi promozionali, ma non è mai stato veramente ostacolato dalla Polizia che finora ha permesso lo svolgimento di ben 17 parate, in varie città. Un’interpretazione liberale delle leggi sulla decenza rende, secondo le forze dell’ordine, l’esibizione di un paio di seni non particolarmente offensiva, “se non accompagnata da atteggiamenti provocatori e lascivi”. Negli ultimi tempi, però, le polemiche contro “Boobs on Bikes” sono cresciute, dando vita a un movimento di contestazione che vede unite, cosa abbastanza rara, organizzazioni femministe - contrarie alla commercializzazione del corpo della donna - e associazioni cristiane a difesa della morale e, appunto, della decenza. Un’opposizione decisa che, dopo petizioni e proteste pacifiche, quest’anno minacciava di “passare all’azione” contro gli organizzatori, i centauri e le malcapitate pornostar, in occasione della parata nella città settentrionale di Tauranga. Convocati in fretta e furia per prevenire il degenerare dell’evento, dopo qualche discussione i consiglieri comunali del grosso centro del Nord hanno ufficialmente negato il permesso, citando la mancanza di un “piano stradale” e “questioni di sicurezza pubblica”. L’edizione del 2011 a Tauranga è così saltata (quella di Auckland si era invece svolta regolarmente), ma gli organizzatori di “Boobs on Bikes”, forti anche dell’inevitabile pubblicità data dai media al divieto, hanno subito rilanciato la loro provocazione, convocando un’edizione speciale della parata nel centro di Auckland, chiamata “Rugby World Cup Boobs On Bikes”, fissata per il 24 settembre, data appunto della partita All Blacks-Francia che sicuramente renderà la capitale affollatissima di tifosi nazionali ed esteri. Sul sito della parata un appello: “Cerchiamo 20 motociclisti e 20 ‘lovely ladies’ volontarie che si facciano dipingere sul corpo i colori delle 20 squadre della Coppa del Mondo”. A seguire, un elenco di raccomandazioni alle ragazze: “Per favore, non fate nulla che possa essere definito come esplicitamente ‘titillante’ sessualmente. Non agitate i seni o altro. Ricordate che la Polizia sarà presente per mantenere l’ordine pubblico e quindi non fate niente che possa provocare una reazione”. Furiose le proteste di “Family First NZ”, associazione per la difesa della morale e della famiglia: “La maggior parte dei neozelandesi sa che è indecente e inappropriato andare in giro in topless. La Polizia non vuole impedirlo e facendo questo ignora non solo la legge, ma anche la volontà della comunità", ha dichiarato alla stampa il direttore nazionale Bob McCoskrie. "Le autorità dimostrano così apertamente di non dare priorità alla protezione dei bambini e delle famiglie che saranno presenti nel centro di Auckland per festeggiare la Coppa del Mondo.”

Voglio sposare un milionario!

ASIA - La crisi finanziaria mondiale ha toccato anche i milionari (in dollari) dell’Asia. Ma i super-ricchi di queste parti sembra abbiano “sofferto” decisamente meno dei loro colleghi occidentali. La corsa all’oro del continente, in tumultuoso sviluppo, non si è infatti fermata e le economie locali continuano imperterrite nei loro trend sempre positivi, almeno per i super-ricchi. Lo testimonia un recente studio del Julius Baer Group secondo il quale la zona Asia-Pacifico ha già superato per numero di milionari l’Europa e sta avvicinandosi velocemente al Nord America. In testa, come sorprendersi, la Cina comunista, che nel 2015 raddoppierà il numero dei suoi ricconi, passando da 1,4 a 2,8 milioni “paperoni”. In forte crescita anche i ricchissimi di India, Corea del Sud e Indonesia, tra le nazioni più importanti. Il rovescio della medaglia, per questi milionari (manager di alto livello, capitani d’industria e altri, arricchitisi in modi meno leciti), è il poco tempo che riescono a riservare all’Amore e alla famiglia. In un continente dove la ricchezza è tradizionalmente considerata una virtù, fanno dunque sempre notizia le pene d’amore dei ricchi, i retroscena dei loro matrimoni e le disavventure di alcuni di loro (moltissime ormai anche le donne). Ne sanno qualcosa la 49enne anonima milionaria coreana di Gyeonggi ricorsa ai servigi dell’agenzia per cuori solitari Sunwoo, e finita per settimane sui giornali per un’ondata di offerte ricevute da maschi di tutto il Paese. E il milionario 80enne australiano rivoltosi all’agenzia di Seoul UVIS Club per trovare una moglie asiatica, offrendo 1 miliardo di won (660 mila euro) in contanti alla candidata prescelta (2 mila risposte nel giro di pochi giorni). O, ancora, l’attricetta taiwanese Barbie Hsu, chiacchieratissima per avere fatto di tutto per sposare il milionario cinese Wang Xiao Fei. O, infine, la più nota Wendi Deng (vero nome Deng Wenge, cioè "Rivoluzione Culturale Deng”), moglie cinese del tycoon Rupert Murdoch, la cui scalata alla ricchezza (per meriti intellettuali - ha un MBA conquistato negli USA - ma anche per una certa disinvoltura nello scegliersi sempre mariti più vecchi e più ricchi) le ha procurato parecchia cattiva stampa ma anche molta ammirazione tra le giovani cinesi che ormai la considerano apertamente un modello da imitare. E proprio conquistare la ricchezza via matrimonio con un uomo o una donna più ricchi, sembra il nuovo trend che affascina molte giovani donne (e non pochi ragazzi) asiatici, tutti presi dalle vite dei VIP e plasmati da trasmissioni di successo come la fiction coreana ad episodi “Sposare un milionario”, ispirata agli omonimi film e telefilm americani. Giovani di bella presenza e poco idealismo, come quelli intervistati in una inchiesta della singaporese RazorTV, che non hanno fatto mistero di preferire un bel matrimonio alla fatica di dover scalare la gerarchia della propria azienda e conquistarsi col lavoro uno stipendio da super-dirigente. Ambizioni di ricchezza che hanno indotto, recentemente, la troppo compassata agenzia cinese “Centro per l’Educazione Morale delle Donne”, a cambiare radicalmente la propria strategia di marketing lanciando un nuovo programma con l’inequivocabile slogan “Vuoi sposare un uomo ricco?”. Un corso per signorine, già relativamente facoltose (le 30 ore di lezione costano 20 mila yuan, 2.200 euro), che vogliono imparare “tecniche” per rendersi più appetibili ad un possibile ricco marito. Materie classiche, portamento, conversazione, makeup e scelta del vestiario, ma anche più moderne, come body language e psicologia applicata all’individuazione di un possibile mentitore tra i presunti milionari, per eliminare fin dal primo appuntamento ogni possibile candidato inadatto: cioè i poveri, che intendono solo portarsi a letto la ragazza, o i bravi giovanotti dalle finanze modeste e "semplicemente" innamorati.

martedì 30 agosto 2011

Il Punto Rosa di Singapore

SINGAPORE - Vedere la vita in rosa non è proprio sempre cosa facile, soprattutto se non si appartiene alla cultura e alla morale dominanti del proprio Paese e ogni giorno si subiscono piccole e grandi discriminazioni. Ne sanno qualcosa i “diversi” di ogni genere, razza e religione un po’ in tutta l’Asia, dove i condizionamenti sociali e lo stigma portato da chi non rientra nei canoni prevalenti sono ancora molto pesanti. Vedere rosa a Singapore può essere un poco più semplice, perché la piccola città-Stato dell’Asia del SudEst è uno dei territori proporzionalmente più ricchi del continente e la sua popolazione gode di tanti privilegi (ottimi livelli di istruzione, libertà di movimento, informazione) e di qualche importante diritto civile (soprattutto in tema di eguaglianza razziale e linguistica), anche se nel quadro di un sistema politico ancora di fatto monopartitico, conservatore e autoritario. La scelta di chiamare “Pink Dot” (punto rosa) una delle tante iniziative di liberazione e progresso nate spontaneamente in questi ultimi anni dalla vibrante società civile singaporese appare dunque un fondato (e facile?) inno all’ottimismo oltre che, ovviamente, una scelta cromatica poco controversa e “politica” e un chiaro riferimento al tema della battaglia dei suoi organizzatori, attivisti e simpatizzanti. Pink Dot SG è un movimento per il diritto alla felicità e alla non discriminazione nato in seno alla corposa comunità LGBT di Singapore, con lo scopo di “sostenere la libertà di amare”, sfidando i tabù esistenti e puntando alla riforma delle leggi sulla famiglia e la libertà di genere. Una battaglia fatta portando i propri messaggi - sempre moderati nella forma ma decisi nella sostanza - nelle piazze virtuali (Singapore è ai primi posti nel mondo per l’uso sociale di Internet) e in quelle reali (i singaporesi raramente manifestano le loro idee nelle strade, anche a causa di severe limitazioni in nome dell’ordine e della “quiete pubblica”). Nato solo pochi anni fa, il movimento ha ottenuto subito l’adesione di famosi esponenti del mondo artistico anche eterosessuale di Singapore e ha trovato una sponda anche nei piccoli partiti dell’opposizione politica democratica (che solo da quest’anno ha una sparuta rappresentanza di 6 deputati in Parlamento). Molto attivo sul web, con un proprio sito internet (vedi link nella colonna a fianco) e sostenuto da popolarissimi bloggers come l’insegnante di etnia cinese Otto Fong, (link a fianco), Pink Dot SG ha trovato simpatia e appoggio anche nella comunità degli affari, generosa di donazioni alla causa e di sponsorizzazioni. Come quella, clamorosa, offerta nel 2011 da Google Singapore all’ultimo grande (per gli standard dello Stato) raduno dei simpatizzanti del movimento, convocati nell’unico spazio cittadino aperto ai comizi e alle manifestazioni politiche, lo Speaker’s Corner del piccolo ma centralissimo Hong Lim Park. I 10 mila partecipanti al meeting, giunto alla sua terza edizione, tutti vestiti con indumenti rosa, hanno ascoltato gli appelli “alla liberazione” lanciati - con grande pacatezza tutta singaporese - da artisti, politici ed esponenti gay, e si sono poi stretti in un grande punto rosa, visibile da molti grattacieli del centro città. Le immagini e i discorsi della manifestazione, ripresa dalle televisioni e da migliaia di videocamere e telefonini, sono naturalmente finiti in tempo reale su YouTube, diventando una delle attrazioni più cliccate e scambiate sui computer dai giovani “rivoluzionari hi-tech” di Singapore.

Il Club delle Mogli Obbedienti

La festa d'inagurazione del primo OWC in Malaysia
ASIA DEL SUDEST - I problemi del mondo moderno? La violenza? Gli stupri, i figli abbandonati, i litigi domestici e i divorzi? Piaghe sociali di sempre, apparentemente accentuate - sostengono i conservatori - dalla globalizzazione dell’informazione senza censure e dalla disintegrazione dei tessuti sociali tradizionali. La responsabilità? In primo luogo dei maschi: violenti, eccitabili, fedifraghi, come sempre. Ma la colpa? Prevalentemente delle donne, in particolare delle mogli, di quelle mogli che non si mostrano adeguatamente acquiescenti e non sanno soddisfare sessualmente i propri mariti, lasciandoli con una carica di aggressività e insoddisfazione che inevitabilmente finiscono per sfogare in famiglia o fuori, turbando l’equilibrio del focolare e della società. La tesi, che ci limitiamo a definire curiosa, non è esattamente nuovissima: demagoghi, religiosi, psicologi e moralisti d’accatto di ogni latitudine occasionalmente la rispolverano, provocando reazioni e ormai soprattutto sberleffi da parte delle donne, in Occidente come anche - sempre di più - nella socialmente conservatrice Asia. Ha destato però sensazione (e anche preoccupazione), l’iniziativa di alcune donne asiatiche, di religione musulmana, che hanno sposato entusiasticamente questa singolare analisi dei mali della società e negli ultimi mesi hanno iniziato a mobilitarsi per provare a rimediare a questa supposta carenza di affetto e sensualità femminile. La loro soluzione? “Essere ancora più devote ai mariti e imparare a dar loro tutto il piacere che richiedono, in camera da letto”. Lo strumento per diffondere questa guerra santa al degrado dei costumi sono i “Club delle Mogli Obbedienti” (Obedient Wives Club / OWC), associazioni di donne musulmane (per il momento) con la missione di offrire a tutte le donne consigli e lezioni gratuite di "sesso familiare". I primi club - dietro i quali si può cogliere la mano di Global Ikhwan, la rete internazionale dei Fratelli Musulmani - sono già sorti, in giugno, in Indonesia, Malaysia e Singapore. Le organizzatrici sono fiduciose di poter esportare la buona novella già entro la fine dell’anno anche in altre zone del continente e perfino “a Londra, Parigi e Roma”. Pochissime le adesioni, finora, e molte le critiche, soprattutto di altre donne, ma anche di politici e istituzioni. Come la ministra malese per le Donne, Robia Kosai, che ha definito l’iniziativa “senza senso” e “non benvenuta” nello Stato del Johor, che rappresenta come parlamentare nazionale. Le “donne obbedienti” però non demordono e chiariscono il messaggio come meglio non si potrebbe: “Vogliamo che i mariti trattino le loro mogli come prostitute di prima classe. Le prostitute possono solo fornire buon sesso, ma non l’amore e l’affetto che solo una moglie può garantire al suo uomo”, ha dichiarato al quotidiano Malay Mail la presidentessa della branca malese di OWC, Fauziah Ariffin. “Se noi impariamo a offrirgli servizi migliori delle normali prostitute, lui non andrà in giro a cercarle”. Un concetto ribadito dalla co-fondatrice di OWC a Singapore, Darla Zaini: “Nell’Islam, se un marito vuole sesso e la moglie non è dell’umore, deve comunque concedersi, se no gli angeli la malediranno e questo porterà male alla famiglia”. Una tesi respinta in toto da Ratna Osman, direttrice esecutiva di “Sisters-in-Islam” (Sorelle nell’Islam), ONG malese per i diritti delle donne: “Gli uomini violenti spesso usano il comportamento delle donne come una volgare giustificazione, ma alla fine sono loro i responsabili unici delle proprie azioni”.

Bollywood a luci rosse

Il poster di "Morte davanti. Morte di dietro"
INDIA - C’è una Bollywood minore, che non ha sfondato i confini dell’India, ma che conta milioni e milioni di spettatori affezionati. È la parente povera della più grande industria del cinema asiatico e produce film dai titoli improbabili, spesso senza una vera trama e con la singolare caratteristica di ruotare intorno a poche scene ad alto contenuto erotico (almeno per gli standard morali del posto), arrivando a volte addirittura a “rubarle” da pellicole di altri Paesi, con attori diversi da quelli scritturati per il resto del film in questione. Ci riferiamo alle produzioni soft-porno (titoli come “Il mio pappagallo e la tua passera” o “Moglie incompetente e cognata competente”) e a quelle horror-porno (“Morte davanti, morte di dietro”; “L’amante strega della notte”) dei cosiddetti “morning show”, le proiezioni semi-clandestine del mattino offerte da migliaia di sale in tutta l’India, nella tollerante indifferenza dei censori e delle autorità preposte alla salvaguardia dei costumi. Famosi soprattutto i poster pubblicitari di questi film di serie B, concepiti per solleticare gli istinti dei potenziali spettatori, con fotografie o disegni osé e frasi ad effetto (“Lui ha 14 anni e io 30, e allora? Tanto non ho un vero marito”). Esposti solo al mattino nelle bacheche dei cinema o, più spesso, portati in giro da uomini sandwich in bicicletta, i coloratissimi manifesti hanno il compito di invogliare il maggior numero di spettatori a rinchiudersi nelle sale buie per un’ora o poco più di spettacolo. Uno show destinato dichiaratamente a un pubblico maschile e anche giovanissimo, di solito di ceto basso, che ancora non può permettersi l’acquisto di un videoregistratore, un lettore DVD o un computer, strumenti che - in India come ovunque - stanno rapidamente uccidendo i cinema specializzati in pellicole hardcore. L’industria che produce questi film - e questi poster - ha avuto il suo momento d’oro negli anni ‘80, e oggi vivacchia in attesa che il benessere della Nuova India, con i computer e i DVD ogni giorno meno cari, raggiunga sempre più spettatori decretando - con la pornografia su disco e su Internet - la fine del genere. Disprezzata dagli attori e dai produttori di Mumbai (Bombay, Bollywood, appunto), che almeno per numero di spettatori e fatturato competono ormai apertamente con i più blasonati colleghi di Hollywood, la cinematografia dei morning show si sta rassegnando ad una rapida fine, trincerandosi nelle roccaforti del Kerala e del Tamil Nadu. La sua dipartita lascerà però certamente qualche rimpianto nei milioni e milioni di uomini indiani che si sono “formati” su questi film. Per celebrare e rivalutare, in qualche modo, questa forma d’arte minore, una galleria di New Delhi (la W+K Exp) ha aperto il 26 agosto una mostra di manifesti pubblicitari originali, intitolata, appunto “Morning Show”. La pagina web dedicata all'evento (link nella colonna a fianco) spiega così le caratteristiche delle opere: “Disegni e immagini puntano a sollecitare le fantasie proibite dalla cultura indiana, dando loro vita nei titoli bizzarri e nelle immagini. Il linguaggio visuale, a volte coraggioso, più spesso naïf, evoca l’immaginario kitsch di tutti i poster cinematografici indiani. Ma queste locandine parlano di Sesso, un argomento particolarmente tabù in questo Paese, nonostante le sue molte rappresentazioni religiose”. La mostra di New Delhi si concluderà il 17 settembre.